lunedì 9 luglio 2012

Il libro sul comodino#4: La baracca dei tristi piaceri di Helga Schneider

Buongiorno a tutti!
Passato un buon fine settimana?
Io ho sofferto terribilmente il caldo, la mia pressione dava i numeri al lotto (e vi ricordo che i numeri del lotto non superano il 90!) e per completare il quadro stanotte non sono stata affatto bene...
Non potrebbe che migliorare, o almeno si spera.

In compenso, nel tempo libero, sono riuscita a finire un libro molto toccante: "La baracca dei tristi piaceri" di Helga Schneider, che consiglio vivamente  e che parla delle vicende di una donna costretta a barattare il miraggio della libertà con il suo corpo, sullo sfondo di Buchenwald, uno dei principali campi di concentramento, situato nella Germania orientale.


La Schneider dà voce ad uno degli episodi meno conosciuti, avvenuti durante l'olocausto: la prostituzione coatta, una forma di violenza che faceva addirittura parte delle strategie politiche della dittatura hitleriana.
Non ero a conoscenza dell'esistenza dei bordelli nei campi di concentramento. ma non mi ha affatto stupito sapere che furono costruiti, per volere di Himmler, con l'intento di limitare l'omosessualità tra i detenuti, o almeno era questa la motivazione "pubblica". In realtà queste "baracche del piacere" erano luoghi in cui le SS potevano dare libero sfogo alle loro perversioni, ai danni di donne, ebree e non, che da quei campi non sono mai uscite, nemmeno dopo la liberazione.
Herta Kiesel, la protagonista, un'anziana donna che decide di raccontare la sua storia ad una scrittrice, Sveva, voce narrante del romanzo, "sceglie" di prostituirsi a Buchenwald per sfuggire all'orrore del campo di Ravensbrück, chiamato anche "l'inferno delle donne", spinta dalla promessa mai mantenuta di essere liberata da lì a sei mesi.
Deportata non perchè ebrea ma perchè fidanzata con Uwe, un ragazzo di madre cattolica e padre per metà ebreo, Herta comprende da subito che a Ravensbrück sarebbe morta, in un modo o nell'altro, ed è per questo che sceglie il Sonderbau, che agli occhi di una ragazza giovane ed inesperta, terrorizzata da ciò che la circondava, sembrava il male minore.

«... 'se accetti di lavorare al Sonderbau sarai liberata dopo sei mesi'. Dissero proprio così, quei bastardi!»
«E lei... ci credette?»
Per un istante la donna rimase come impietrita, non si capiva se di sconcerto o di sdegno. Poi ebbe come uno scatto. I suoi occhi lampeggiarono, i lineamenti si trasformarono in una maschera di furibondo dolore. Sveva si sorprese a contemplare affascinata il contrasto fra la sua età e l'incredibile mutevolezza del suo viso.
Passò qualche minuto prima che l'altra fosse in grado di riprendere la parola.
«Ci credetti perché ero maledettamente giovane e inesperta!» dichiarò poi, la voce bassa, acrimoniosa. «Se non mi fossi fatta avanti 'spontaneamente' - si fa per dire - in un modo o nell'altro a Ravensbrück ci avrei lasciato la pelle. Nella mia grande ignoranza mi illusi che il Sonderbau fosse il male minore. Vedevo l'orrore attorno a me. Le altre prigioniere che morivano una dopo l'altra... e oltre duemila di internate erano già state trasferite ad Auschwitz e si sapeva cosa era stato di loro... Per giunta avevano cominciato a usare molte donne come cavie per i loro esperimenti!»


Nel Sonderbau, letteralmente "edificio speciale", il bordello di Buchenwald, Herta fu costretta ad avere rapporti sessuali anche con quindici uomini al giorno. Inizialmente la regola era che i detenuti avrebbero avuto a disposizione venti minuti di tempo, ridotti poi a quindici, durante i quali era tassativamente proibito conversare.
Per quanto riguarda le SS, invece, disponevano di tempo illimitato e non vi era alcun limite a ciò che potevano fare ai danni delle donne che sceglievano.

Per i nazisti i Lager avevano anche un alto valore economico come luoghi di produzione. Creare dei bordelli, pensò Himmler, sarebbe stato un incentivo per i detenuti, la cui produttività era molto bassa a causa del cibo insufficiente, delle violenze quotidiane o delle cattive condizioni igieniche. Per loro il prezzo per accedere al Sonderbau era di due marchi, che potevano guadagnare barattando un tozzo di pane o lavorando di più, appunto. 
Herta rimaneva ogni volta senza parole, vedendo come quei relitti umani, che non avevano nemmeno la forza di trascinare le loro membra ossute, sentissero ancora l'impulso di giacere con una donna. Spesso si trattava anche di quell'ultimo guizzo di vitalità, pagato molto più di due marchi. A Frau Kiesel succede solo una volta di ritrovarsi, dopo la consumazione del rapporto, di fronte ad un cadavere, ma non era un evento raro nel Sonderbau.

Herta racconta a Sveva che le donne destinate a prostituirsi, classificate con l'etichetta di "antisociali", godevano di ritmi di lavoro molto più blandi rispetto alle altre internate. Erano impiegate in lavori leggeri sino al turno, dalle ore 20 alle 22, destinato alla prostituzione, con un orario prolungato per la domenica pomeriggio. Erano obbligate ad una rigida igiene personale, ad indossare una divisa (reggiseno, gonna a pieghe e tacchi alti) e truccare il viso con cerone e rossetto.
Le giovani in cambio della loro opera ricevevano razioni di cibo più sostanziose, il che significava maggiori possibilità di sopravvivenza e disponevano di grandi quatità di alcool, di cui diventavano dipendenti.
Per ottenere il bonus occorreva che i detenuti seguissero una rigida procedura burocratica: dopo aver fatto regolare domanda, bisognava attendere il proprio turno e dopo essere stati visitati da un medico si poteva usufruire della prestazione sessuale per non più di un quarto d'ora, senza preservativo e in una sola posizione, quella del missionario. Il tutto avveniva sotto la sorveglianza di una SS attraverso lo spioncino della stanza adibita all'uso.
Le gravidanze erano poco frequenti poiché le giovani venivano normalmente sterilizzate senza anestesia fin dal loro arrivo nel lager e comunque si ricorreva subito all'aborto.
Herta Kiesel racconta anche degli esperimenti di Carl Vaernet, "medico" delle SS, che nel campo di Buchenwald (ed anche successivamente in Argentina, fino alla sua morte) ha perseguito l'intento di guarire l'omosessualità attraverso l'installazione di un dispositivo a rilento rilascio di testosterone.
La protagonista vive da vicino questa vicenda, in quanto viene scelta per "testare" Adolf, un ragazzo omosessuale sopravvissuto all'esperimento e dichiaratosi eterosessuale per compiacere Vaernet, al quale non bastavano, ovviamente, le parole dei cosiddetti "triangoli rosa" (era così che venivano chiamati gli omosessuali, ed era il simbolo che veniva cucito sulle loro divise).

«Avevamo fallito» disse tristemente. «Deve credermi, mi sono data da fare fino all'ultimo momento perché volevo salvarlo a ogni costo. Ma lo spettacolo che offrimmo a quella carogna che ci spiava dal buco fu patetico.»

Le vicende di Herta vengono raccontate in maniera mai eccessivamente cruda. L'autrice non rende ulteriormente "brutto" ciò che è già orribile di suo e non descrive Herta come una donna di cui avere pietà, per la quale provare compassione. I sentimenti che si provano nei suoi confronti sono spesso contrastanti e portano a leggere con macabra avidità ciò che lei racconta.
Ci sono momenti in cui ho ipocritamente pensato "chi è causa del suo male pianga se stesso", altri in cui mi sono fatta piccola piccola e mi sono messa in un angolo a leggere, consapevole di non potere mai comprendere fino in fondo gli orrori di quel periodo, che personalmente credo siano di gran lunga peggiori di quello che immaginiamo.
Alla storia di Herta si intreccia anche quella di Sveva, con la quale la Schneider mostra come gli orrori del nazismo si ripercuotano a distanza di anni nella vita quotidiana tedesca.

Per concludere, vorrei riportarvi questo estratto da Wikipedia, che si basa su diverse fonti:

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, per la mancata testimonianza delle stesse vittime che, pur costrette alla prostituzione, si ritenevano in certo modo colpevoli di essere sfuggite alla sorte delle altre donne dei campi, si tentò di far passare sotto silenzio anche questo aspetto della prostituzione nei lager.
Specialmente nell'antinazista Germania orientale non si reputava conveniente mescolare l'immagine del feroce annientamento dei lager con quella dello sfruttamento sessuale di cui usufruivano soprattutto i prigionieri incaricati di sorvegliare gli internati. Questo avrebbe significato attribuire alle vittime dei lager la stessa colpa dei loro aguzzini per aver sfruttato queste prigioniere: quindi, dopo la liberazione, le prostitute vennero spacciate come consenzienti.
I due stati tedeschi sorti dopo la guerra si trovarono allora concordi nel negare alle donne dei Sonderbauten la loro condizione di vittime e il diritto a qualsiasi risarcimento supponendo una loro complicità e facendo propria, in un certo senso, la qualifica di "asociali" loro attribuita dalle SS dei campi.
Solo dopo gli anni novanta i lagerbordell cominciarono a essere conosciuti dal grande pubblico attraverso l'opera di studiosi che hanno rivelato questa ulteriore forma della tragedia nazista in Germania.

Spero di non avervi annoiato troppo. Ci tenevo a parlarvi di questo libro e so che non sono riuscita a farlo in maniera degna della realtà che svela. Ma nel mio piccolo ho voluto contribuire a far conoscere una storia che dovrebbero sapere tutti.

Alla prossima,

13 commenti:

  1. Ciao sono una tua follower da un po' di tempo.. ora mi sono buttata nell'avventura di creare un blog tutto mio... Che dici, passi a dare un'occhiata??? :)

    http://makeupdolls88.blogspot.it/

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  2. Miki hai fatto benissimo a parlarne. Non sapevo che esistessero dei bordelli organizzati.

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  3. Bellissima recensione tesora...da brividi caspita...

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    1. Grazie Tesora. E' il libro che è particolarmente coinvolgente.

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  4. Ho letto molti libri su questa tragedia storica, ma questa dei bordelli non l'avevo mai sentita. Molto interessante la recensione che hai fatto, mi hai sicuramente invogliato a leggere il libro...

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    1. Mi fa piacere Dani. Nemmeno io la conoscevo, è per questo che tengo tanto a questo post.

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    2. grazie per aver condiviso la lettura di questo libro, appena passo da una libreria lo cerco,voglio proprio leggerlo che certe barbarie non vanno sicuramente dimenticate.
      un bacione

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  5. Mikina mi ero persa la tua splendida recensione.
    Purtroppo non verremo mai a sapere tutto quello che è realmente accaduto in quei maledetti campi, ma l'importante ora è continuare a parlarne, per mantenere viva la memoria! Questa tua recensione starebbe benissimo anche in "Ritratto di Signora" !

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  6. Credo non si riuscirà mai a conoscere tutti gli orrori che sono successi in quei campi. Tutte le volte che qualcun racconta qualcosa di nuovo si pensa che non ci possa essere di peggio, e invece ogni volta se ne viene smentiti, ogni testimonianza è peggio della precedente.
    Come si può definire consenzienti queste donne va al di là della mia comprensione sinceramente. E' anche vero che quando andai a Dachau e chiedemmo informazioni al paese per raggiungere il campo, a chiunque ci rivolgessimo rispondeva di non sapere di che cosa stavamo parlando O.O, quindi forse non dovrei stupirmi più di tanto.
    In certo senso capisco che uno vorrebbe che certe cose venissero cancellate, ma come si può fare finta di nulla?

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  7. Miki, purtroppo stavolta non concordo con te. Ho trovato il libro di una superficialità semplicemente irrispettosa per l'importanza del tema trattato.
    E le interruzioni continue del racconto storico da parte della protagonista/giornalista davvero irritanti.
    Unico merito del libro aver portato alla luce un argomento che la storiografia si è impegnata a nascondere.

    Eleonora

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