Un altro mese è volato e l'unico aspetto positivo (a parte il fatto che prima arriva Agosto e prima riabbraccerò il mio amore) è che noi siamo tornati con la nostra rubrica, Ritratto di Signora, dedicata alle figure femminili che più ci hanno interessato, che hanno un significato per noi e che riteniamo possano essere in qualche modo d'esempio per gli altri, soprattutto in un periodo in cui tale figura è troppo spesso bistrattata, per non dire altro.
Oggi sono particolarmente orgogliosa di presentarvi l'articolo, per diversi motivi, innanzitutto per l'argomento, che mi sta molto a cuore e poi per l'autore del ritratto. Questo mese, infatti, i blog coinvolti in questa bellissima iniziativa, ospitano un articolo scritto da Tony, il mio meraviglioso fidanzato. Non indugio oltre e vi lascio alla lettura.
Quando la mia fidanzata mi ha proposto di scrivere un
articolo per la rubrica, sono quasi svenuto.
Superato lo shock iniziale, una figura, una sola, chiara ed
inequivocabile, mi si è presentata davanti agli occhi, una figura di
grandissimo valore storico, pari, e non credo di esagerare affermandolo, al suo
corrispettivo maschile, ma di cui si è parlato troppo poco, a cui raramente
sono stati riconosciuti meriti, innegabili dal mio punto di vista, per il
contributo portato alla lotta per la liberazione del nostro Paese dalla piaga
nazifascista. Le donne partigiane.
Queste donne, alcune giovanissime, altre meno, hanno vinto
una guerra senza sparare un colpo di fucile, sempre presenti negli scontri, pur
non affrontando direttamente il nemico. Silenziose, ma la cui azione fu
rumorosa ed efficace quanto quella dei colpi che partivano dai fucili dei loro
compagni e delle loro compagne (molte, in realtà, erano le donne combattenti),
dei loro mariti, fratelli, figli. Fondamentali furono le infermiere, così come
le staffette e le informatrici, che fornivano ai combattenti dettagli
fondamentali circa le azioni nemiche, che portavano viveri, indumenti e
munizioni, andando su per i colli, attraverso boschi, con il costante rischio
di essere scoperte e fucilate.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa
macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle
staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini,
le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro,
quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le
linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con
materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei
monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta
o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del
vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame,
la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte ne e
stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del
tedesco in agguato.
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva. Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento, ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini. (“Il Monte Rosa è sceso a Milano, Secchia Moscatelli).
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva. Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento, ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini. (“Il Monte Rosa è sceso a Milano, Secchia Moscatelli).
Queste donne, forti e coraggiose, sono state il vero motore
della Resistenza, che non sarebbe stata possibile senza di loro e che il 25
Aprile del 1945 pose fine all’oppressione del regime fascista.
Una donna in particolare, di cui sono venuto a conoscenza
per caso, leggendo la sua autobiografia, “Da Rivoli verso il mondo”, ha avuto
un ruolo importantissimo nella lotta partigiana del torinese.
Si tratta di
Lidia Lazzero, nata nella cittadina alle porte del capoluogo piemontese, il 22
Gennaio del 1925,
anno in cui il Fascismo subisce una svolta che porterà
all'abolizione delle libertà democratiche e alla realizzazione di una dittatura
autoritaria.
Lidia trascorre l’infanzia e la giovinezza segnate dalla
profonda sofferenza di vedere l’amato fratello, Mario, continuamente e
pesantemente punito per il rifiuto di partecipare alle esercitazioni e al corso
premilitare voluti dal duce, che si svolgono il sabato pomeriggio, il
cosiddetto “sabato
fascista”. Questi episodi fanno nascere in lei, come racconta nel libro,
“una coscienza e un senso di ribellione alle cose ingiuste”, sentimenti che si
fanno sempre più forti con il passare degli anni, a causa delle insopportabili
condizioni portate dal regime.
Il 10 Giugno del 1940, dopo la dichiarazione di guerra alla
Francia pronunciata da Mussolini, Lidia viene umiliata e schiaffeggiata di
fronte alla piazza perché si rifiuta di applaudire.
Nel ’43, a seguito dell’arresto del duce, assieme ad altri
antifascisti, si reca alla Casa del Fascio, ancora occupata dai fedelissimi di
Mussolini, con la ferma volontà di restituire l’edificio ai cittadini rivolesi.
Sopravvive per miracolo all’enorme mole di fuoco proveniente dalle armi dei
tedeschi asserragliati nella casa, che colpiscono a morte i suoi compagni prima
di fuggire dal retro dell’abitazione. Viene anche arrestata con l’accusa di
aver insultato due donne fasciste. È dopo il rilascio che comincia la sua vera
e propria lotta contro il regime, entrando a far parte della 15° brigata delle
Squadre di Azione Partigiana, a comando del Comitato di Liberazione Nazionale
Alta Italia.
I primi periodi di lotta si svolgono in clandestinità, nella
fabbrica in cui è impiegata, in cui si producono accessori aeronautici. A
seguito di una protesta degli operai, che lamentano turni ed orari proibitivi e
scarso cibo, per via del razionamento dei generi alimentari, i nazisti, per
calmarli e garantirsi la presenza di qualche operaio nelle fabbriche, decidono
di consegnare alcune derrate alimentari, che Lidia, d’accordo con altri partigiani,
anch’essi operai nella stessa fabbrica, decide di rubare e consegnare ai
combattenti che patiscono il freddo e la fame, braccati dai nazisti sulle
montagne. È così che ha inizio la sua attività di staffetta, che continua nonostante il licenziamento a seguito della
denuncia di alcune spie presenti tra gli operai.
Solo per la città di Rivoli, la lotta partigiana è costata
la vita di moltissime donne: 99 combattenti e 38 civili uccise dai nazisti, 185
deportate nei campi di sterminio.
A soli 18 anni, la partigiana Lidia ha il coraggio e la
forza di affrontare il nemico nei campi, in città, sui monti. Attraverso i
boschi avviene gran parte dei suoi rischiosi trasporti di viveri, munizioni ed
indumenti per i compagni partigiani. E poi ancora, instancabile, in giro per
ospedali a cercare, assistere e sostenere i combattenti feriti. È proprio lei a
ritrovare la salma del fratello di una sua cara amica, morto a seguito di un
rastrellamento nelle valli di Lanzo. E sempre a lei tocca il doloroso compito
di riportarla a casa e dare la tragica notizia alla famiglia.
Il 2 Maggio del 1945, l’occupazione della Germania da parte
delle truppe sovietiche restituisce la libertà, ponendo fine ad un incubo
durato oltre vent’anni. Tra il 1943 e il 1945 il nostro Paese ha lottato contro
la dittatura instaurata da Benito Mussolini e fondamentale è stato l’apporto
delle donne italiane, al fianco dei loro padri, fratelli, mariti e figli,
spesso fino alla morte.
Dopo la fine del conflitto, Lidia dedica la sua attività
all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, occupandosi della compilazione
delle pratiche per il riconoscimento della partecipazione alla Lotta di
Resistenza. Negli anni successivi le vengono riconosciuti particolari meriti
tanto da essere insignita col Diploma d’Onore di Combattente per la Libertà,
premio che le viene conferito dalla Presidenza della Repubblica.
Tante e importanti sono le mansioni che Lidia svolge dopo il
conflitto: la Camera del lavoro di Torino, la militanza all’interno del Partito
Comunista Italiano, con il quale è eletta dal ’51 al ’56 nel Consiglio Comunale
di Rivoli. Più volte arrestata durante manifestazioni per i diritti dei
lavoratori, viene poi trasferita alla segreteria generale della C.G.I.L. a Roma
e successivamente a Sofia, in Bulgaria, alla Federazione Sindacale Mondiale.
Dopo ben sessant’anni di lavoro, in patria e all’estero,
sempre al fianco dei lavoratori, Lidia torna a Rivoli, dove entra a far parte
del direttivo del Sindacato Pensionati Italiani e dell’Associazione Nazionale
Partigiani d’Italia, con cui organizza una serie di incontri rivolti ai ragazzi
delle scuole medie di Torino e provincia, durante i quali affronta il tema
della guerra e racconta come è nata la Resistenza e come ha dedicato la sua
vita a ideali come la libertà, la giustizia e il lavoro.
Non nascondo che, mentre quest’articolo prendeva vita, mi
era venuta l’idea di intervistarla, ma
purtroppo Lidia Lazzero ci ha lasciati il 19 Maggio del 2010, a 85 anni.
Per concludere vi lascio un pensiero tratto dal suo libro,
in cui mi ritrovo moltissimo:
“Ai giovani desidero
ancora spiegare perché sono riuscita a fare tutto quanto ho vissuto durante i
miei ottantatre anni. Io sono riuscita grazie alla mia forza di volontà e al
mio forte ideale, perché – ricordate tutti sempre – giovani e meno giovani –
che sia nel bene che nel male – e purtroppo può esserci più male che bene – io
sono stata sorretta dai miei ideali di pace, libertà, giustizia, lavoro,
studio, politica. E non tanto per me, ma rivolti a tutti e al bene dell’umanità.
Ogni giorno mi ripetevo: nonostante tutto la vita è bella finché son viva, è
bella in ogni suo momento, nella gioia e nel dolore. Basta saperla vivere e,
soprattutto, mai cercare di voler l’impossibile.”
Tony.
Leggendo questo bellissimo ritratto, sono tornata con la mente ai tempi in cui, al liceo, ascoltavo affascinata la mia fantastica professoressa di Storia e Filosofia, una donna meravigliosa, che con entusiasmo ci raccontava le lotte partigiane e ci faceva capire l'importanza di queste persone, che hanno lottato per il proprio Paese, per il nostro Paese. E sapere che tra queste persone c'è stata una donna come Lidia, e come lei tante altre, mi inorgoglisce non poco, così come sono orgogliosa del lavoro fatto dal mio fidanzato, che ha saputo mettere tra le righe il suo personale entusiasmo, lo stesso entusiasmo che lo ha portato ormai dodici anni fa a "servire" con convinzione il suo Paese, tra mille difficoltà, una su tutte la lontananza dalla sua famiglia e dalla sua terra.
Come sempre vi ricordo che la rubrica è ospitata sui blog
- BooksLand
- Stasera cucino io
- The Pauper Fashionist
- Diario di una dipendenza
- Franci Lettrice Sognatrice
Da poco più di un mese potete trovarci anche su Facebook, all'indirizzo https://www.facebook.com/ritrattosignora
Per informazioni, per proporvi come collaboratori, per proporre figure a voi particolarmente a cuore, o per proporre voi stessi come autori di un ritratto, potete contattare me all'indirizzo imaginary82@hotmail.it oppure Monica all'indirizzo moki418@hotmail.it
Ci ritroviamo a Settembre.
Buona giornata e buona estate,
Miki, Monica, Clara, Fede, Francesca, Michele, Tony e Micht.
Bellissimo ritratto Tony, molto intenso! E' stato un piacere ospitarti nella nostra rubrica :)
RispondiEliminaBellissimo ritratto complimenti! mi è piaciuto molto leggere di tutte le donne che hanno combatutto per la resistenza del paese!
RispondiEliminaBellissimo questo articolo, complimenti a Tony per averlo scritto e aver acceso una luce su questa donna meravigliosa.
RispondiEliminaRitratto di signora è una delle rubriche più belle che abbia mai letto, grazie a tutt* coloro che la tengono viva *_*
Ecco commenti come questo mi fanno pensare che stiamo facendo un buon lavoro! Grazie mille *_*
EliminaGrazie mille Chiara, come ha già detto Monica, sono commenti come questo che ci spingono a continuare, perché spesso l'indifferenza è un po' scoraggiante.
EliminaIo ti ringrazio amore mio, in primis per credere sempre in me, qualsiasi cosa faccia. Grazie al tuo supporto e al tuo sOpportarmi. Ti ringrazio per avermi chiesto di scrivere un articolo, ti ringrazio per aver insistito quando ti ho detto di no. Ti ringrazio per aver accettato subito l'argomento, e per averlo poi pubblicato. Vederlo crescere man mano mi ha fatto sentire orgoglioso, ma leggerlo una volta pubblicato è stato un colpo tra capo e collo. Mi sono emozionato e commosso rileggendo le parole che io stesso ho scritto. Grazie ancora...
RispondiEliminaEd io dico solo grazie a te, per l'impegno e la dedizione che hai messo in questo articolo...
Elimina